giovedì 17 luglio 2008

L'ELETTRICITA' A PIGNA E NELLA VAL NERVIA

PIGNA si dota della luce elettrica molto presto: Grillo Marcello, Marcé, aveva sposato la figlia del prefetto di Cuneo che aveva portato in dote 300.000 lire. Marcello, investe quei soldi nella costruzione della prima centrale elettrica a PIGNA; una delle prime in Liguria, dando così a PIGNA l'illuminazione, ancor prima di Sanremo. Siamo nel 1901.
La Centrale era adiacente al fiume, in corrispondenza della casa di Minico U Cioca (bivio di Gouta).
Nel 1925, a causa di un ingrossamento del Torrente Nervia, e di una frana che aveva portato via il canale d'acqua che alimentava la turbina, la centrale viene spostata più a monte dove si trovava già la segheria ed un frantoio di Giacomo Manesero.
In un primo tempo Marcello aveva previsto di fornire energia elettrica oltre che a PIGNA, anche a Isolabona ed a Apricale. Tuttavia, nel 1927, Marcello che aveva due figli impiegati in altre attività, e che non avevano intenzione di rilevare la Centrale, la vende per 60.000 lire a Giacomo Manesero. Il frantoio ed i suoi macchinari vengono trasferiti a Lago Pigo, nel frantoio dei Manesero (Antonio).
Giobatta Manesero filgio di Giacomo (1850-1928), potenzia la Centrale; compra una turbina e un alternatore, aumenta la portata del canale a 300 litri al secondo attraverso una caduta di 15 metri, producendo una potenza di 45 cavalli. La segheria viene collegata alla Centrale, ed alla sera, quando la segheria si ferma, viene erogata energia elettrica a PIGNA.
All'inizio degli anni '30 si verifica un considerevole aumento dei consumi, nuove utenze si collegano, ed in particolare le fallegnamerie di Censin e di Belolo, allora si rende urgente il potenziamento del canale, aumentandone la portata a 600 litri al secondo e arrivando a 90 cavalli di potenza. Ciò era possibile solamente nel periodo invernale, quando maggiore era la portata del torrente Nervia. Allora Giobatta Maneserero compra una caldaia a vapore, che durante il periodo estivo faceva funzione la segheria e la sera andava in ausilio alla centrale elettrica.
Nel 1934 viene portata l'energia elettrica a Castelvittorio.
Nel 1936 per fronteggiare l'aumento dei consumi, Giobatta Manesero compra a Genova dalla ditta S. Giorgio, un motore industriale per la produzione di energia elettrica, il motore di fabbricazione tedesca era alimentato a gasolio.
Nel 1950 per far fronte ad una sempre maggiore richiesta di energia elettrica, i Menesero comprano un nuovo motore (per nave) a Savona il quale alimentato a gasolio, forniva una potenza di 150 cavalli.
Questo motore ancor'oggi è presente sul posto.
Nel 1959 per riuscire a fronteggiare in insistente aumento dei consumi ed alle proteste degli utenti, una linea di 12.000 volts è congiunta alla società CELI, (attraverso una cabina a Isolabona). Con questa linea ausiliaria l'energia diviene sufficiente in paese. La cabina con i trasformatori: 12.000/125/220/ e 380 trifase per uso industriale, erano collocate a S. Tommaso. presso Villa Lucrezia, e nel campo Giaira (attuale campo sportivo).
Nel 1965 in seguito alla legge di Nazionalizzazione dell'energia elettrica la centrale viene comprata dall'ENEL che, per disposizione di legge, fa demolire tutta la parte elettrica. In questo momento, la centrale serviva 1500 utenze tra i paesi di PIGNA e Castelvittorio.
Giobatta Manesero, l'uomo che aveva seguito passo passo la crescita della centrale, rimane colpito da questa inutile distruzione. Per lui serebbe bastato farla funzionare, anche se scollegata dalla linea.
I lavoratori della centrale erano:
Manesero Giobatta
Manesero Giulio
Manesero Luigi
Littardi Giuseppina (la moglie di Giobatta, curava la parte amministrattiva)
Giauna Giacomo (Giacò U Magiu)
Giovanni Franchini (Crataccio)
Caviglia Aldo (di Castelvittorio)
Littardi Mario (Mariu U Cera)

(queste informazioni sono state gentilmente fornite da Manesero Giulio).

1901 - mese di Ottobre, Festa di S. Tiberio.
La prima comparsa in casa del sig. Marcello Grillo al Corso De Sonnaz della luce elettrica.
Dicembre: festa solenne di natale. Alla messa di mezzanotte al Gloria compare per la prima volta la luce elettrica in chiesa e nei principali posti del paese.
1902, Gennaio: Collaudo di detta luce elettrica con l'intervento del Sottoprefetto di Sanremo, con altri personaggi e consiglio di questo Comune in casa di Toesca Antonio.
(Dal Diario di Lodovico Rebaudo, mio nonno - Mario Luigia Littardi).

A Buggio una centrale elettrica venne istallata nel 1928 (un pilone è ancora visibile). E un farmacista, Giovanni Pastore il finanziatore di questa centrale che portava la luce a Buggio dal 1928.

LA RIVOLUZIONE DELL'ELETTRICITA'

Accanto all'energia animale e umana, la scoperta rivoluzionaria della forza dell'acqua risale all'antichità. Le prime ruote a palette e a cassette, antenate delle nostre moderne turbine apparse nel 1837, sono datate II secolo prima di Cristo. A partire dal XII secolo tanti fiumi di provenza vengono utilizzati per la forza idraulica: la Durance, la Verdon, le Var, la Tinée, la Roudoule, il Roja...
Numerose sono le richieste di deviazione di fiumi per alimentare mulini e frantoi. Mentre l'irrigazione a grande scala della vallata della Durance comincia nel XVI secolo, alla stessa epoca sono sistemati mulini e frantoi sul Roja, sotto Fontan (mulini d'Ambo). Uno sarà trasformato nel 1903 in centrale elettrica.

Nelle Alpi Marittime l'acqua è usata molto presto per produrre l'elettricità: le prime fabbriche d'elettrictà appaiono presso il Pont Du Loup (1866), a Siagne (1886), a Plan-Du-Var (1896) e alla Mescia (1897). un'altra innovazione sarà il trasporto dell'energia idraulica: il fisico e elettrictà francese Desprez fa una prima dimostrazione di trasporto dell'energia in corrente continua tra Vizille e Grenoble (14Km) nel 1833. Poi l'invenzione del trasformatore da Gaulard e Gibbs nel 1885 permetterà di trasportare l'energia su più lunghe distanze. Ormai l'energia elettrica non è più prigioniera del luogo di Produzione!
Già nel 1893 Nizza s'illumina. Nello stesso anno, la strada principale e la chiesa di St-Martin-De-Vésubie sono illuminate grazie all'ingeniosità di un arigiano, Joseph Mottet.
Dal 1901 Faraud e Piccini chiedono di utilizzare il fiume Roudoule per alimentare una fabbrica idroelettrica, alfine di illuminare le strade di Puget-Théniers, allora Sotto-Prefettura. Sarà fatto nel Febbraio 1902.
A Breglio, Augustin Cachiardi, proprietario del frantoio della Gravera e di un albergo, colloca un generatore elettrico sull'albergo-motore del suo frantoio già dall'anno 1901 può illuminare le sue proprietà. Nel 1903 la strada di Breglio sranno illuminate da una centralina che porta la conrrente anche a Mentone. la conessione di produrre l'energia elettrica a Breglio farà oggetto di numerose prolemiche per lunghi anni... A Fontan, Pont d'Ambo, dall'anno 1903 una centralina sistemata al posto di un antico frantoio produce luce pubblica per Fontan e Saorgio. Negli anni '20 la gestione dell'elettricità sarà ripresa dalla SEELM: Société d'Energie Electrique du Littroral Maditerranéen che gestiva la produzione d'energia per i numerosi tramways di Nizza e nelle vallate delle Alpi Marittime. Poco dopo un'altra compania, la Société Hydro-Electrique du Sud-Est si attiva nella zona. L'episodio dei pionieri è finito!

giovedì 10 luglio 2008

ALCUNI PROVERBI PIGNASCHI

  • In Se I Bagnai L'Aiga Ghe Schia

  • Pistar L'Aiga In Tu Murter

  • Aiga Che A Cure A Nu L'Acampa Nita

  • Andar A L'Aiga Cun Un Cavagnu

  • Anger In t'In Gotu D'Aiga

  • Candu Turage U L'A A Cantira L'Aiga A L'E' Seghira

  • Candu Turage U L'à U Caper, Pastur Piàte U Guner

  • Candu Turage U L'à U Cular, Pastur Nu T'Aluntanar

  • Se Turage U L'à U Caper O Cu Cevie O Cu Fa Ber. Se Turage U Nu L'à Ren De Titu O Cu Fa Ber O Cu Fa Britu

  • Rusciore De Matin Aiga E Ventu In per U Camin. Rusciore De Seira, Aiga I Se Riferma.

  • A Spusa Che A Se Bagna I pei, L'Anu Dopu I SUn In Trei

martedì 8 luglio 2008

A LESCIA - IL GRANDE BUCATO

A Lescia o il grande bucato si faceva soprattutto durante la bella stagione, della primavera all'autunno. Durante l'inverno si lavano gli abiti, la biancheria, gli indumeti dei bambini, utilizzando soprattutto il lavatoio.
La donne potevano fare il bucato in diversi luoghi, dipendeva dalle zone dove abitavano e dalle disponibilità dei posti. Così tante donne pertavano i panni da lavare nelle campagne, dove c'era il pozzo privato, torentelli e spzio per stenderli. Li portavano nei Cavagni sulla testa o sul mulo.
Nel paese c'erano parecchi luoghi per lavare.

Nel Nervia
A Giaira (attuale campo sportivo) era il posto il più comodo per lavare, perchè c'erano vasti spazi nel fiume e un tempo esisteva un'isola centrale dove si stendevano i panni.
Al Pesciu, un po' più a monte, sotto la Chiesa di San Rocco.
Sul Torrente Loverger
A Gisdeu o Loverger: posto molto solleggiato, l'acqua era tiepida, ma c'erano pochi lavaui (posti per lavare).
Oppure le donne si spostavano in Lu Tuvu, luogo più vasto dove si potevano anche stendere le lenzuola e i panni contro la roccia quasi verticale.
Sul Rio Carne, A Carne.
Ai Ponti, Nel BEAR del mulino; il vantaggio era che si lavava in piedi!

Il Lavatoio che alimentato dall'acqua del Rio la Valle, e anche dal troppopieno della fontana dei Canui, era una comodità sopratutto d'inverno, ma c'era molta gente quindi si doveva aspettare il turno e l'acqua non era sempre limpida... Le donne lavavano al lavatoio stendevano i panni sui muri degli orti di Derercà (dietro le case, Corso Isnardi).
Il lavatoio consisteva in tre operazioni: Lavar, A Lescia, Rinfrescar.

U Lavaur è la pietra utilizzata al torrente sulla quale si appoggiavano le ginocchia; alcuni indumenti da lavare servivano da cuscino.
Ogni donna si individuava un lavaur disponibile e nella pisizione migliore atteggiamento che originava inevitabilmente discussioni...
Si cominciava bagnando le lenzuola. Si insaponava fino a tre trast sovrapposti, con il sapone usato per quello sopra serviva per quelli sotto: era un modo per risparmiare il sapone e ammorbidire il "più sporco". Si insaponava con le manin utilizzando saponero nero e sapone di Marsiglia (per i pantaloni, e altri vestiti da uomo, per rimuovere lo sporco, si usava il Batturegiu).
In seguito le lenzuola si mettevano al sole adagiate su una pietra. Terminate queste operazioni si risciacquava per togliere la prima insaponata e si ripeteva più volte questo procedimento. All'ultima insaponata le lenzuola venivano strizzati di più, operazione che necessitava delle collaborazione di due donne. Si portavano nella cesta fino a casa. Certo che erano un po' pesanti che all'andata!

A Lescia
A Casa, la seconda operazione consisteva nel disporre le lenzuola o i panni nella seglia, secchio di legno con due maniglie laterali e un buco sul fondo chiuso con uno straccio. L'operazione, di solito, avveniva davanti alla cappa del camino. Nel fondo della seglia si mettevano i panni più grossolani: stracci da cucina, poi altri panni sovrapposti in modo regolare, mentre la binacheria più fine si adagiava in alto... L'insieme veniva coperto dal Curaur de a Lescia, una tela speciale (cotoe o lino) bagnata. Poi si disponeva uno strato di cenere bianca (si utilizzava cenere di rovere o leccio accantonata durante l'inverno). Successivamente in un paiuolo speciale si riscaldava l'acqua su un vivo fuoco, si prendeva l'acqua calda e la si spargeva sulla cenere con un movimento circolare. L'acqua scendeva lentamente, la cenere rimaneva in superficie e la sua azione detergente si verficava. Si continuava a versare dell'acqua finchè usciva tiepida dallo straccio che tappava il buco sul fondo. L'acqua colante era recuperata in un recipiente per il lavaggio di sacchi per le olive, di tende da abbacchiare... Questa acqua insaponata era chiamata a Lesciassu.

Rinfrescar
In seguito si riportavano i panni per risciacquarli un'ultima volta nel fiume o nel BEAR. Si stendevano al sole, e finalmente quando la Lescia era ben fatta si poteva esclamare: u de sciortin a lescia gianca cume in liru!
(Mi è uscito un bucato bianco come un giglio!).
Era un lavoro tipicamente femminile! Ogni tanto i mariti aiutavano a portare i cesti pieni di panni che, essendo bagnti, erano pesanti.
Per qualche donna era diventato un mestiere: lavava per i militari, i Carabinieri, la Finaza. La più note erano Madalé a Cerigna (fino agli anni 1930), Genia a Viageira (fino Agli anni 1940).
Il bucato (italiano), a lescia (Pignasco), a Lesciàa (Castelvittorio), Lescia (Realdo), la Lessive (Francese) La Bugado (Provenzale), Le Leissiéu (in Provenzale, l'acqua che passa nel buco della seglia).

Lavandaie AiPonti, PIGNA




A VEIJENDA

La Veijenda era di Domenica ed andava dalle ore quattro della Domenica alle ore quattro del Lunedì.
L'ultimo che innaffiava era U Barba Già de Soijun, che aveva l'acqua dalle ore due alle ore quattro della Domenica.
Si dece che Baruna, uno dei maggiori possidenti Pignaschi, nel secolo diciannovesimo, coltivasse dei terreni in prossimità della sorgente delle Carsee, e quando i contadini d'OURI decisero di costruire il canale irriguo che avrebbe portato l'acqua nei terreni coltivati, questi, a suo piacimento o quando riteneva utile innaffiare, non rispettasse la divisione delle ore, che i contadini si erano dati, in base alle esigenze ed alla grandezza dei siti in oggetto. L'Aiga (l'acqua) in un primo tempo fu incanalata per poter innaffiare i siti coltivati a castagneto, in seguito quando il seminativo e la diversitificazione delle coltivazioni crebbero, si ravvisò la neccessità di incanalare l'acqua per tutta la bandita d'OURI, e di dividerla ad ore sull'intero arco della giornata. (Tunin U Preva).

La Particolarità del canale delle Carsee, era che di Domenica l'acqua era libera. appunto alla Veijenda.
Questo tipo d'organizzazione era una risposta al fatto che, se il Baruna toglieva l'acqua nei giorni feriali a chi stava in quel momento, nelle sue ore, innaffiando, queti non aveva altra possibilità di recuperare l'acqua perduta che di Domenica.
Allora si decise che chiunque avesse avuto bisogno dell'acqua, stabilita nella misura di un'ora, si sarebbe recato sulla mulattiera detta "A Tira" in prossimità del stio di Casciun, e li essendovi una bella pinta di fico vi avrebbe appeso uno straccio facilmente identificato, ed appesolo nella parte più alta della pianta, aveva di conseguenza il diritto di innaffiare per primo.

Durante la siccità del 1920-1922 che mise a dura prova, sorgenti e terreni contivati, con la notevole riduzione delle sorgenti stesse, si dovette rimettere a discussione il modo con cui si prenotava l'acqua la Domenica (straccio appeso al fico), non poche discussione provocò quel sistema, perchè chi aveva le campagne in prossimità del fico era in qualche modo avvantaggiato sulla scelta dei tempi, erano sempre gli stessi ad innaffiare per primi. Si ritenne che, chiunque avesse bisogno d'acqua si sarebbe recato sul posto, e avrebbe presenziato ivi, e contanti i presenti si sarebbe proceduto all'assegnazione dell'ora della Veijenda. Chi primo arrivava conservava il diritto ad innaffiare per primo. Andava mio padre in piena notte e poi nella mattinata gli andavo il cambio per non perdere il mio turno (Tunin U Preva).

Mi recavo sul BEAR con la sveglia per non perdere neanche un minuto d'acqua e anche per non togliere l'acqua prima che era arrivato il proprio turno, i mi nuti erano davvero preziosi, si era veramente preziosa quell'ora della Veijenda (Tunin U Preva).

Fredo De Pignatta chiese a mia nonna o Pelìlun mi date la vostra ora, che devo andare via, devo vedere degli amici, devo essere a Lago pigo oggi pomeriggio presto, ma nonna, Ferrero Petronilla (a Maistretta), gli rispose: l'altra volta ti ho concesso di innaffiare prima di me, ma quetsa volta aspetti, prima innaffio io e poi tu al tuo turno. Così Fredo non potè recarsi a Lago pigo, e questo forse gli salvò la vita, perchè tutta quella fretta era legata al ritrovamento di un ordigno della II° Guerra Mondiale, ed insieme con altri ragazzi si erano dati appuntamento per provare a smontare quella bomba. Due di questi ragazzi, Ivo e Pippo rimasero uccisi dall'improviso scoppio. Fredo rimgraziò mia nonna che involotariamente gli aveva salvato la vita. L'Aiga a la salvau, mi diceva mia nonna.

A PIGNA, ci sono una decina di BEAR principali, che, partendo dalla sorgente, distribuivano una volta l'acqua che faceva girare frantoi e mulini, o era usata nelle campagne del territorio. Sono scavati nella terra, nei sassi e ogni tanto si vedono antichi BEAR scavati con grande maestria nella roccia, oppure costruiti sopra arcatelle di pietra. I BEAR servono ancora oggi per l'irrigazione delle campagne, spesso sistemati con dei tubi di plastica e così sono le testimonianze vive dell'antichissima volontà di controllare l'acqua che fa parte di questa cultura.


di Roberto Trutalli (Figlio Di GIACO' U MAESTRETTU E DI PERI')

GIACO' MAESTRETTU (Giacomo Trutalli) Al BEAR di Alto Moro

giovedì 3 luglio 2008

L'IRRIGAZIONE

A PIGNA, ci sono una decina di "BEAR" principali, che, partendo dalla sorgente, distribuivano una volta l'acqua che faceva girare frantoi e mulini, o era usata nelle campagne del territorio. Sono scavati nella terra, nei sassi e ogni tanto si vedono antichi "BEAR" scvati con grande maestria nella roccia, oppure costruite sopra arcatelle di pietra. I "BEAR" servono ancora oggi per l'irrigazione delle campagne, spesso sistemati con dei tubi di plastica e così sono le testimonianze vive dell'antichissima volontà di controllare l'acqua che fa parte di questa cultura.

Ogni "BEAR" aveva il suo regolamento:
L'acqua del "BEAR" dell'Alto Moro era divisa ad ore (ancora oggi) sulle 24 ore, incluse la Domenica, ed ad ogni proprietario era assegnato un numero d'ore articolate e calcolate in base alla grandezza del sito.
Perciò si potevano aver assegnato delle ore anche notturne.
Esiste ancora oggi il consorzio dei proprietari (una quarantina) che si dividono e gestiscono l'acqua dell'Alto Moro.

Il "BEAR" delle Carsee aveva un regolamento diverso. Di Domenica l'acqua era libera alla Veijenda(vedi): venne deciso che chiunque avesse avuto bisogno di acqua, stabilita nella misura di un'ora, si sarebbe dovuto recare sulla mulattiera detta a Tira in prossimità del sito di Casciun e lì, essendovi una bella pianta di fico, vi avrebbe appeso uno straccio facilmente identificabile, ed appendendolo nella parte più alta della pianta, aveva di conseguenza di innaffiare per primo.

Le tecniche dell'irrigazione sono usate in numerose zone delle Alpi Meridionali che non mancano d'acqua ma il suo controllo e la sua distribuzione sono strettamente regolari per la coltivazione e per la produzione di fieno. In zone umide del versante nordalpino l'irrigazione serviva soprattutto per l'arricchimento e il riscaldamento precoce dl terreno. Numerosi archivi testimoniano che i problemi d'irrigazione son tra le prime preocuopazioni della comunità. Nelle Alpi Marittime, a Puget-Théniers, il più vecchio documento per la distribuzione dell'acqua è una pergamena del 1430. Un regolamento scritto in provenzale nella metà del Cinquecento stabilisce i diritti all'acqua di ognuno e punisce il nonrispetto delle regole. Così, prevede che l'acqua sia riservata ai cittadini il Mercoledì, Venerdì, Sabato sera e Domenica, mentre gli altri giorni può venir usta dai mulini e frantoi, ad eccezione dei casi d'incendio, ecc...
Altri archivi indicano la costruzione di canali dalla metà del Seicento. Il sistema è sempre identico: un canale principale alimenta canali secondari per portare l'acqua nei campi. l'irrigazione serve anche alle industrie locali, che lavorano cuoio, la calce, alla miniera di rame, i mulini sul fiume Roudoule, qualche segheria...

I turni dell'acqua sono proporzionali alla superficie dei campi. Dalle 9 di sera alle 3 del mattino l'acqua è considerata libera ed è destinata al mulino o alle industrie locali. Ci sono tracce di questo tipo di organizzazione locale del Settecento.
Essenziali per lo sviluppo della prima agricoltura, nell'epoca neolitica, le più antiche tecniche d'irrigazione sono osservate nel VII millennio in Anatolia e in Irak. Prima l'attività agricola era soltanto praticabile in zone abbastanza umide o dove le piogge annuali potevano assicurare il raccolto. I lavori d'irrigazione in zone troppo secche e di drenaggio in zone troppo umide richiedevano uno sforzo collettivo importante per tutta una comunità al fine di scavare canali, costruire dighe. La pratica di quetse tecniche rese possibili lo sfruttamento delle grandi vallate: del Tigri, dell'Eufrate, del Nilo, dell'Indus, che prima erano devastate da alluvioni. Così la regolarità delle produzioni agricole permise l'acumulo di riserve per la comunità e favorì la condizioni di vita per creare le prime città e i primi imperi.