giovedì 17 luglio 2008

L'ELETTRICITA' A PIGNA E NELLA VAL NERVIA

PIGNA si dota della luce elettrica molto presto: Grillo Marcello, Marcé, aveva sposato la figlia del prefetto di Cuneo che aveva portato in dote 300.000 lire. Marcello, investe quei soldi nella costruzione della prima centrale elettrica a PIGNA; una delle prime in Liguria, dando così a PIGNA l'illuminazione, ancor prima di Sanremo. Siamo nel 1901.
La Centrale era adiacente al fiume, in corrispondenza della casa di Minico U Cioca (bivio di Gouta).
Nel 1925, a causa di un ingrossamento del Torrente Nervia, e di una frana che aveva portato via il canale d'acqua che alimentava la turbina, la centrale viene spostata più a monte dove si trovava già la segheria ed un frantoio di Giacomo Manesero.
In un primo tempo Marcello aveva previsto di fornire energia elettrica oltre che a PIGNA, anche a Isolabona ed a Apricale. Tuttavia, nel 1927, Marcello che aveva due figli impiegati in altre attività, e che non avevano intenzione di rilevare la Centrale, la vende per 60.000 lire a Giacomo Manesero. Il frantoio ed i suoi macchinari vengono trasferiti a Lago Pigo, nel frantoio dei Manesero (Antonio).
Giobatta Manesero filgio di Giacomo (1850-1928), potenzia la Centrale; compra una turbina e un alternatore, aumenta la portata del canale a 300 litri al secondo attraverso una caduta di 15 metri, producendo una potenza di 45 cavalli. La segheria viene collegata alla Centrale, ed alla sera, quando la segheria si ferma, viene erogata energia elettrica a PIGNA.
All'inizio degli anni '30 si verifica un considerevole aumento dei consumi, nuove utenze si collegano, ed in particolare le fallegnamerie di Censin e di Belolo, allora si rende urgente il potenziamento del canale, aumentandone la portata a 600 litri al secondo e arrivando a 90 cavalli di potenza. Ciò era possibile solamente nel periodo invernale, quando maggiore era la portata del torrente Nervia. Allora Giobatta Maneserero compra una caldaia a vapore, che durante il periodo estivo faceva funzione la segheria e la sera andava in ausilio alla centrale elettrica.
Nel 1934 viene portata l'energia elettrica a Castelvittorio.
Nel 1936 per fronteggiare l'aumento dei consumi, Giobatta Manesero compra a Genova dalla ditta S. Giorgio, un motore industriale per la produzione di energia elettrica, il motore di fabbricazione tedesca era alimentato a gasolio.
Nel 1950 per far fronte ad una sempre maggiore richiesta di energia elettrica, i Menesero comprano un nuovo motore (per nave) a Savona il quale alimentato a gasolio, forniva una potenza di 150 cavalli.
Questo motore ancor'oggi è presente sul posto.
Nel 1959 per riuscire a fronteggiare in insistente aumento dei consumi ed alle proteste degli utenti, una linea di 12.000 volts è congiunta alla società CELI, (attraverso una cabina a Isolabona). Con questa linea ausiliaria l'energia diviene sufficiente in paese. La cabina con i trasformatori: 12.000/125/220/ e 380 trifase per uso industriale, erano collocate a S. Tommaso. presso Villa Lucrezia, e nel campo Giaira (attuale campo sportivo).
Nel 1965 in seguito alla legge di Nazionalizzazione dell'energia elettrica la centrale viene comprata dall'ENEL che, per disposizione di legge, fa demolire tutta la parte elettrica. In questo momento, la centrale serviva 1500 utenze tra i paesi di PIGNA e Castelvittorio.
Giobatta Manesero, l'uomo che aveva seguito passo passo la crescita della centrale, rimane colpito da questa inutile distruzione. Per lui serebbe bastato farla funzionare, anche se scollegata dalla linea.
I lavoratori della centrale erano:
Manesero Giobatta
Manesero Giulio
Manesero Luigi
Littardi Giuseppina (la moglie di Giobatta, curava la parte amministrattiva)
Giauna Giacomo (Giacò U Magiu)
Giovanni Franchini (Crataccio)
Caviglia Aldo (di Castelvittorio)
Littardi Mario (Mariu U Cera)

(queste informazioni sono state gentilmente fornite da Manesero Giulio).

1901 - mese di Ottobre, Festa di S. Tiberio.
La prima comparsa in casa del sig. Marcello Grillo al Corso De Sonnaz della luce elettrica.
Dicembre: festa solenne di natale. Alla messa di mezzanotte al Gloria compare per la prima volta la luce elettrica in chiesa e nei principali posti del paese.
1902, Gennaio: Collaudo di detta luce elettrica con l'intervento del Sottoprefetto di Sanremo, con altri personaggi e consiglio di questo Comune in casa di Toesca Antonio.
(Dal Diario di Lodovico Rebaudo, mio nonno - Mario Luigia Littardi).

A Buggio una centrale elettrica venne istallata nel 1928 (un pilone è ancora visibile). E un farmacista, Giovanni Pastore il finanziatore di questa centrale che portava la luce a Buggio dal 1928.

LA RIVOLUZIONE DELL'ELETTRICITA'

Accanto all'energia animale e umana, la scoperta rivoluzionaria della forza dell'acqua risale all'antichità. Le prime ruote a palette e a cassette, antenate delle nostre moderne turbine apparse nel 1837, sono datate II secolo prima di Cristo. A partire dal XII secolo tanti fiumi di provenza vengono utilizzati per la forza idraulica: la Durance, la Verdon, le Var, la Tinée, la Roudoule, il Roja...
Numerose sono le richieste di deviazione di fiumi per alimentare mulini e frantoi. Mentre l'irrigazione a grande scala della vallata della Durance comincia nel XVI secolo, alla stessa epoca sono sistemati mulini e frantoi sul Roja, sotto Fontan (mulini d'Ambo). Uno sarà trasformato nel 1903 in centrale elettrica.

Nelle Alpi Marittime l'acqua è usata molto presto per produrre l'elettricità: le prime fabbriche d'elettrictà appaiono presso il Pont Du Loup (1866), a Siagne (1886), a Plan-Du-Var (1896) e alla Mescia (1897). un'altra innovazione sarà il trasporto dell'energia idraulica: il fisico e elettrictà francese Desprez fa una prima dimostrazione di trasporto dell'energia in corrente continua tra Vizille e Grenoble (14Km) nel 1833. Poi l'invenzione del trasformatore da Gaulard e Gibbs nel 1885 permetterà di trasportare l'energia su più lunghe distanze. Ormai l'energia elettrica non è più prigioniera del luogo di Produzione!
Già nel 1893 Nizza s'illumina. Nello stesso anno, la strada principale e la chiesa di St-Martin-De-Vésubie sono illuminate grazie all'ingeniosità di un arigiano, Joseph Mottet.
Dal 1901 Faraud e Piccini chiedono di utilizzare il fiume Roudoule per alimentare una fabbrica idroelettrica, alfine di illuminare le strade di Puget-Théniers, allora Sotto-Prefettura. Sarà fatto nel Febbraio 1902.
A Breglio, Augustin Cachiardi, proprietario del frantoio della Gravera e di un albergo, colloca un generatore elettrico sull'albergo-motore del suo frantoio già dall'anno 1901 può illuminare le sue proprietà. Nel 1903 la strada di Breglio sranno illuminate da una centralina che porta la conrrente anche a Mentone. la conessione di produrre l'energia elettrica a Breglio farà oggetto di numerose prolemiche per lunghi anni... A Fontan, Pont d'Ambo, dall'anno 1903 una centralina sistemata al posto di un antico frantoio produce luce pubblica per Fontan e Saorgio. Negli anni '20 la gestione dell'elettricità sarà ripresa dalla SEELM: Société d'Energie Electrique du Littroral Maditerranéen che gestiva la produzione d'energia per i numerosi tramways di Nizza e nelle vallate delle Alpi Marittime. Poco dopo un'altra compania, la Société Hydro-Electrique du Sud-Est si attiva nella zona. L'episodio dei pionieri è finito!

giovedì 10 luglio 2008

ALCUNI PROVERBI PIGNASCHI

  • In Se I Bagnai L'Aiga Ghe Schia

  • Pistar L'Aiga In Tu Murter

  • Aiga Che A Cure A Nu L'Acampa Nita

  • Andar A L'Aiga Cun Un Cavagnu

  • Anger In t'In Gotu D'Aiga

  • Candu Turage U L'A A Cantira L'Aiga A L'E' Seghira

  • Candu Turage U L'à U Caper, Pastur Piàte U Guner

  • Candu Turage U L'à U Cular, Pastur Nu T'Aluntanar

  • Se Turage U L'à U Caper O Cu Cevie O Cu Fa Ber. Se Turage U Nu L'à Ren De Titu O Cu Fa Ber O Cu Fa Britu

  • Rusciore De Matin Aiga E Ventu In per U Camin. Rusciore De Seira, Aiga I Se Riferma.

  • A Spusa Che A Se Bagna I pei, L'Anu Dopu I SUn In Trei

martedì 8 luglio 2008

A LESCIA - IL GRANDE BUCATO

A Lescia o il grande bucato si faceva soprattutto durante la bella stagione, della primavera all'autunno. Durante l'inverno si lavano gli abiti, la biancheria, gli indumeti dei bambini, utilizzando soprattutto il lavatoio.
La donne potevano fare il bucato in diversi luoghi, dipendeva dalle zone dove abitavano e dalle disponibilità dei posti. Così tante donne pertavano i panni da lavare nelle campagne, dove c'era il pozzo privato, torentelli e spzio per stenderli. Li portavano nei Cavagni sulla testa o sul mulo.
Nel paese c'erano parecchi luoghi per lavare.

Nel Nervia
A Giaira (attuale campo sportivo) era il posto il più comodo per lavare, perchè c'erano vasti spazi nel fiume e un tempo esisteva un'isola centrale dove si stendevano i panni.
Al Pesciu, un po' più a monte, sotto la Chiesa di San Rocco.
Sul Torrente Loverger
A Gisdeu o Loverger: posto molto solleggiato, l'acqua era tiepida, ma c'erano pochi lavaui (posti per lavare).
Oppure le donne si spostavano in Lu Tuvu, luogo più vasto dove si potevano anche stendere le lenzuola e i panni contro la roccia quasi verticale.
Sul Rio Carne, A Carne.
Ai Ponti, Nel BEAR del mulino; il vantaggio era che si lavava in piedi!

Il Lavatoio che alimentato dall'acqua del Rio la Valle, e anche dal troppopieno della fontana dei Canui, era una comodità sopratutto d'inverno, ma c'era molta gente quindi si doveva aspettare il turno e l'acqua non era sempre limpida... Le donne lavavano al lavatoio stendevano i panni sui muri degli orti di Derercà (dietro le case, Corso Isnardi).
Il lavatoio consisteva in tre operazioni: Lavar, A Lescia, Rinfrescar.

U Lavaur è la pietra utilizzata al torrente sulla quale si appoggiavano le ginocchia; alcuni indumenti da lavare servivano da cuscino.
Ogni donna si individuava un lavaur disponibile e nella pisizione migliore atteggiamento che originava inevitabilmente discussioni...
Si cominciava bagnando le lenzuola. Si insaponava fino a tre trast sovrapposti, con il sapone usato per quello sopra serviva per quelli sotto: era un modo per risparmiare il sapone e ammorbidire il "più sporco". Si insaponava con le manin utilizzando saponero nero e sapone di Marsiglia (per i pantaloni, e altri vestiti da uomo, per rimuovere lo sporco, si usava il Batturegiu).
In seguito le lenzuola si mettevano al sole adagiate su una pietra. Terminate queste operazioni si risciacquava per togliere la prima insaponata e si ripeteva più volte questo procedimento. All'ultima insaponata le lenzuola venivano strizzati di più, operazione che necessitava delle collaborazione di due donne. Si portavano nella cesta fino a casa. Certo che erano un po' pesanti che all'andata!

A Lescia
A Casa, la seconda operazione consisteva nel disporre le lenzuola o i panni nella seglia, secchio di legno con due maniglie laterali e un buco sul fondo chiuso con uno straccio. L'operazione, di solito, avveniva davanti alla cappa del camino. Nel fondo della seglia si mettevano i panni più grossolani: stracci da cucina, poi altri panni sovrapposti in modo regolare, mentre la binacheria più fine si adagiava in alto... L'insieme veniva coperto dal Curaur de a Lescia, una tela speciale (cotoe o lino) bagnata. Poi si disponeva uno strato di cenere bianca (si utilizzava cenere di rovere o leccio accantonata durante l'inverno). Successivamente in un paiuolo speciale si riscaldava l'acqua su un vivo fuoco, si prendeva l'acqua calda e la si spargeva sulla cenere con un movimento circolare. L'acqua scendeva lentamente, la cenere rimaneva in superficie e la sua azione detergente si verficava. Si continuava a versare dell'acqua finchè usciva tiepida dallo straccio che tappava il buco sul fondo. L'acqua colante era recuperata in un recipiente per il lavaggio di sacchi per le olive, di tende da abbacchiare... Questa acqua insaponata era chiamata a Lesciassu.

Rinfrescar
In seguito si riportavano i panni per risciacquarli un'ultima volta nel fiume o nel BEAR. Si stendevano al sole, e finalmente quando la Lescia era ben fatta si poteva esclamare: u de sciortin a lescia gianca cume in liru!
(Mi è uscito un bucato bianco come un giglio!).
Era un lavoro tipicamente femminile! Ogni tanto i mariti aiutavano a portare i cesti pieni di panni che, essendo bagnti, erano pesanti.
Per qualche donna era diventato un mestiere: lavava per i militari, i Carabinieri, la Finaza. La più note erano Madalé a Cerigna (fino agli anni 1930), Genia a Viageira (fino Agli anni 1940).
Il bucato (italiano), a lescia (Pignasco), a Lesciàa (Castelvittorio), Lescia (Realdo), la Lessive (Francese) La Bugado (Provenzale), Le Leissiéu (in Provenzale, l'acqua che passa nel buco della seglia).

Lavandaie AiPonti, PIGNA




A VEIJENDA

La Veijenda era di Domenica ed andava dalle ore quattro della Domenica alle ore quattro del Lunedì.
L'ultimo che innaffiava era U Barba Già de Soijun, che aveva l'acqua dalle ore due alle ore quattro della Domenica.
Si dece che Baruna, uno dei maggiori possidenti Pignaschi, nel secolo diciannovesimo, coltivasse dei terreni in prossimità della sorgente delle Carsee, e quando i contadini d'OURI decisero di costruire il canale irriguo che avrebbe portato l'acqua nei terreni coltivati, questi, a suo piacimento o quando riteneva utile innaffiare, non rispettasse la divisione delle ore, che i contadini si erano dati, in base alle esigenze ed alla grandezza dei siti in oggetto. L'Aiga (l'acqua) in un primo tempo fu incanalata per poter innaffiare i siti coltivati a castagneto, in seguito quando il seminativo e la diversitificazione delle coltivazioni crebbero, si ravvisò la neccessità di incanalare l'acqua per tutta la bandita d'OURI, e di dividerla ad ore sull'intero arco della giornata. (Tunin U Preva).

La Particolarità del canale delle Carsee, era che di Domenica l'acqua era libera. appunto alla Veijenda.
Questo tipo d'organizzazione era una risposta al fatto che, se il Baruna toglieva l'acqua nei giorni feriali a chi stava in quel momento, nelle sue ore, innaffiando, queti non aveva altra possibilità di recuperare l'acqua perduta che di Domenica.
Allora si decise che chiunque avesse avuto bisogno dell'acqua, stabilita nella misura di un'ora, si sarebbe recato sulla mulattiera detta "A Tira" in prossimità del stio di Casciun, e li essendovi una bella pinta di fico vi avrebbe appeso uno straccio facilmente identificato, ed appesolo nella parte più alta della pianta, aveva di conseguenza il diritto di innaffiare per primo.

Durante la siccità del 1920-1922 che mise a dura prova, sorgenti e terreni contivati, con la notevole riduzione delle sorgenti stesse, si dovette rimettere a discussione il modo con cui si prenotava l'acqua la Domenica (straccio appeso al fico), non poche discussione provocò quel sistema, perchè chi aveva le campagne in prossimità del fico era in qualche modo avvantaggiato sulla scelta dei tempi, erano sempre gli stessi ad innaffiare per primi. Si ritenne che, chiunque avesse bisogno d'acqua si sarebbe recato sul posto, e avrebbe presenziato ivi, e contanti i presenti si sarebbe proceduto all'assegnazione dell'ora della Veijenda. Chi primo arrivava conservava il diritto ad innaffiare per primo. Andava mio padre in piena notte e poi nella mattinata gli andavo il cambio per non perdere il mio turno (Tunin U Preva).

Mi recavo sul BEAR con la sveglia per non perdere neanche un minuto d'acqua e anche per non togliere l'acqua prima che era arrivato il proprio turno, i mi nuti erano davvero preziosi, si era veramente preziosa quell'ora della Veijenda (Tunin U Preva).

Fredo De Pignatta chiese a mia nonna o Pelìlun mi date la vostra ora, che devo andare via, devo vedere degli amici, devo essere a Lago pigo oggi pomeriggio presto, ma nonna, Ferrero Petronilla (a Maistretta), gli rispose: l'altra volta ti ho concesso di innaffiare prima di me, ma quetsa volta aspetti, prima innaffio io e poi tu al tuo turno. Così Fredo non potè recarsi a Lago pigo, e questo forse gli salvò la vita, perchè tutta quella fretta era legata al ritrovamento di un ordigno della II° Guerra Mondiale, ed insieme con altri ragazzi si erano dati appuntamento per provare a smontare quella bomba. Due di questi ragazzi, Ivo e Pippo rimasero uccisi dall'improviso scoppio. Fredo rimgraziò mia nonna che involotariamente gli aveva salvato la vita. L'Aiga a la salvau, mi diceva mia nonna.

A PIGNA, ci sono una decina di BEAR principali, che, partendo dalla sorgente, distribuivano una volta l'acqua che faceva girare frantoi e mulini, o era usata nelle campagne del territorio. Sono scavati nella terra, nei sassi e ogni tanto si vedono antichi BEAR scavati con grande maestria nella roccia, oppure costruiti sopra arcatelle di pietra. I BEAR servono ancora oggi per l'irrigazione delle campagne, spesso sistemati con dei tubi di plastica e così sono le testimonianze vive dell'antichissima volontà di controllare l'acqua che fa parte di questa cultura.


di Roberto Trutalli (Figlio Di GIACO' U MAESTRETTU E DI PERI')

GIACO' MAESTRETTU (Giacomo Trutalli) Al BEAR di Alto Moro

giovedì 3 luglio 2008

L'IRRIGAZIONE

A PIGNA, ci sono una decina di "BEAR" principali, che, partendo dalla sorgente, distribuivano una volta l'acqua che faceva girare frantoi e mulini, o era usata nelle campagne del territorio. Sono scavati nella terra, nei sassi e ogni tanto si vedono antichi "BEAR" scvati con grande maestria nella roccia, oppure costruite sopra arcatelle di pietra. I "BEAR" servono ancora oggi per l'irrigazione delle campagne, spesso sistemati con dei tubi di plastica e così sono le testimonianze vive dell'antichissima volontà di controllare l'acqua che fa parte di questa cultura.

Ogni "BEAR" aveva il suo regolamento:
L'acqua del "BEAR" dell'Alto Moro era divisa ad ore (ancora oggi) sulle 24 ore, incluse la Domenica, ed ad ogni proprietario era assegnato un numero d'ore articolate e calcolate in base alla grandezza del sito.
Perciò si potevano aver assegnato delle ore anche notturne.
Esiste ancora oggi il consorzio dei proprietari (una quarantina) che si dividono e gestiscono l'acqua dell'Alto Moro.

Il "BEAR" delle Carsee aveva un regolamento diverso. Di Domenica l'acqua era libera alla Veijenda(vedi): venne deciso che chiunque avesse avuto bisogno di acqua, stabilita nella misura di un'ora, si sarebbe dovuto recare sulla mulattiera detta a Tira in prossimità del sito di Casciun e lì, essendovi una bella pianta di fico, vi avrebbe appeso uno straccio facilmente identificabile, ed appendendolo nella parte più alta della pianta, aveva di conseguenza di innaffiare per primo.

Le tecniche dell'irrigazione sono usate in numerose zone delle Alpi Meridionali che non mancano d'acqua ma il suo controllo e la sua distribuzione sono strettamente regolari per la coltivazione e per la produzione di fieno. In zone umide del versante nordalpino l'irrigazione serviva soprattutto per l'arricchimento e il riscaldamento precoce dl terreno. Numerosi archivi testimoniano che i problemi d'irrigazione son tra le prime preocuopazioni della comunità. Nelle Alpi Marittime, a Puget-Théniers, il più vecchio documento per la distribuzione dell'acqua è una pergamena del 1430. Un regolamento scritto in provenzale nella metà del Cinquecento stabilisce i diritti all'acqua di ognuno e punisce il nonrispetto delle regole. Così, prevede che l'acqua sia riservata ai cittadini il Mercoledì, Venerdì, Sabato sera e Domenica, mentre gli altri giorni può venir usta dai mulini e frantoi, ad eccezione dei casi d'incendio, ecc...
Altri archivi indicano la costruzione di canali dalla metà del Seicento. Il sistema è sempre identico: un canale principale alimenta canali secondari per portare l'acqua nei campi. l'irrigazione serve anche alle industrie locali, che lavorano cuoio, la calce, alla miniera di rame, i mulini sul fiume Roudoule, qualche segheria...

I turni dell'acqua sono proporzionali alla superficie dei campi. Dalle 9 di sera alle 3 del mattino l'acqua è considerata libera ed è destinata al mulino o alle industrie locali. Ci sono tracce di questo tipo di organizzazione locale del Settecento.
Essenziali per lo sviluppo della prima agricoltura, nell'epoca neolitica, le più antiche tecniche d'irrigazione sono osservate nel VII millennio in Anatolia e in Irak. Prima l'attività agricola era soltanto praticabile in zone abbastanza umide o dove le piogge annuali potevano assicurare il raccolto. I lavori d'irrigazione in zone troppo secche e di drenaggio in zone troppo umide richiedevano uno sforzo collettivo importante per tutta una comunità al fine di scavare canali, costruire dighe. La pratica di quetse tecniche rese possibili lo sfruttamento delle grandi vallate: del Tigri, dell'Eufrate, del Nilo, dell'Indus, che prima erano devastate da alluvioni. Così la regolarità delle produzioni agricole permise l'acumulo di riserve per la comunità e favorì la condizioni di vita per creare le prime città e i primi imperi.

domenica 29 giugno 2008

LE FONTANE DI BUGGIO + LAVATOIO


Fontana Via Piana (Piazza della Chiesa)


"Aa Pumpiara" Via IV Novembre




Lavatoio BUGGIO





LE FONTANE DI PIGNA + LAVATOIO


Fontana del Ponte de A Giaira, o dell'Ubagu o fontana Fredda


Fontana d'Anzerin o Fontana dei "Peugli"


Fontana Dei Pignaschi (Alla "Grotta Di Loudes")


Fontana dei "Canui" (Citata nel 1575, All'Orgine era contro il muro della Chiesa Parrocchiale)



Fontana di "Dereca" (Piazzetta Santa Croce)



Lavatoio (Piazzetta Santa Croce)




sabato 28 giugno 2008

LE FONTANE

Le fontane ricodano uno spazio sociale oggi sparito.

Le fontane estitono dall'antichità. La parola "Fontana" deriva da fonte indica una sorgente o una costruzione che integra una canalizzazione.
Le funzioni delle fontane erano:
- Portare l'acqua da bere alla popolazione (tutte le misure saniterie dovevano essere prese per evitare l'inquinamento delle fontane portatrici di tifo).
- Portare l'acqua negli abbeveratoi per gli animali.
- Portare l'acqua per il bucato.
Le fontane rustiche non hanno grande decorazione, sono funzionali, servono a preservare la purezza dell'acqua per gli abitanti e portarla il più vicino alle case.
Probabilmente il più antico tipo di fontana è quello sistemato sul posto dove sgorga una sorgente: all'entrata di un paese (con la fontana d'Anzerin, o la fontana dei Pignaschi). Un muro è costruito attorno alla sorgente, sul fondo delle lastre di pietra permettono di mantenere un'acqua pulita, senza terra.
L'acqua è condotta da un coppo, oppure da un tubo. Nella vasca possono bere gli animali, e il troppopieno dell'abbeveratoio serve come lavatoio.
Le fontane con un muro costruito o un reparto a volta evidenziano meglio l'aspetto di luogo di incontro sociale. Offrono anche un lavatoio che invita a rimanere per chiacchierare. Per esempio, la fontana Fredda a PIGNA, o la fontana della Piazza a Castelvittorio.
Altre fontane con una vasca poligonale, rotonda o quadrata, sono più prestigiose, ubicate nel centro di un villaggio, di una città, su una piazza, come la fontana d'Isolabona, datata 1486. Numerose fontane di questo tipo "centrale", inoltre dall'aspetto utilitario, sono state costruite nell'Ottocento anche per essere viste.
Da notare che ogni paesino ha un predilezione per un tipo di fontane: a PIGNA hanno qualche volta una vasca fattad a pietra di un gumba recuperato, quelle di Dolceacqua sono spesso vasche rettangolari scavate in pietra, quelle di Perinaldo sono di forma arrotondata, ecc....


A PIGNA ci sono 16 fontane:
  • Fontana d'Anzerin (o dei Pignaschi)
  • Fontana dei Pignaschi (alla "Grotta Di Lourdes", all'entrata del paese)
  • Fontana del Fossarel
  • Fontana del Borgo
  • Fontana Dei Canui (Citata gia nel 1575, all'orgine era contro il muro della Chiesa Parrocchiale)
  • Fontana Piazza Castello
  • Fontana di Dererca (Piazzetta Santa Croce)
  • Fontana dei Ponti (Villa Isnardi)
  • Fontana della Villa
  • Fontana di Carriera Piana
  • Fontana Via Colla
  • Fontana di Pecastel
  • Fontana Via Ponte
  • Fontana Catru Camin
  • Fontana del Ponte de A Giaira, o dell'U Bagu o Fontana Fredda
  • Fontana nel Parcheggio (Corso de Sonnaz)

A Buggio ci sono 7 Fontane:

  • Via Speroun (2 Fontane)
  • Via Prearba (2 Fontane)
  • Via Parrocchia
  • Via IV Novembre




Fontana dei Ponti (Villa Isnardi)

venerdì 20 giugno 2008

ST'ANU CHE VEN

A PIGNA era evento abbastanza comune che, specie negli anni di siccità e un considerazione delle particolari strutture, sorgessero sovante, oltre a consueti socntri verbali anche vere e proprie liti giudiziarie tra i vari utenti dei BEAI. Da questo il nostro commediografio Antonio Rebaudo ha tratto lo spunto per una su acommedia "St'anu Che Ven" ambiente nell'anno 1870 e che descrive una lite per diritti di irrgazione tra due contadini. Ecco una breve sintesi della storia.
La moglie di uno dei contadini (Tin di Giacò) spiega al notabile la controversia sorta:
"In località Marelae, ove abbiamo il terreno che lei ben sa, ebbene li abbiamo un appezzamento coltivato a canapa e a fagioli. Stasera mio marito è andato a innaffiare e questo furbacchione di Marco a chiuso l'acqua, così mio marito gliene ha detto quattro. Allora Marco spezzante ha risposto che noi non abbiamo diritto all'acqua, e invece anche noi vantiamo tale diritto tant'è che mio suocero era in possesso del relatitov atto, atto che poi si è deteriorato a una cassapanca nel sottotetto perchè il tetto aveva delle lastre rotte. Allora ho detto a mio marito - Vai dal Sigro Gioacchino, che è una persona istruita, che ti faccia una lettera al giudice e poi chi ha il miglior filo fal la miglior tale."
Il notabile redige quindi la lettera al Giudice:
"10 Agosto 1870, il sottoscritto Allavena Giacomo fu Giacomo, residente e abitante a PIGNA, di anni 39 circa, proprietario contadino di un terreno ortile sito in regione Marelae, gode del diritto all'acqua che passa nel beodo proveniente dal vallone per innaffiare la canapa e i fagioli che sono piantati nella sua proprietà da tempo immemorabile. Cionostante, la parte contraria, il signor Marco Lantero, ha tolto l'acqua dal bedo con prepotenza e gli ha impedito di innaffiare. Il sottoscritto si rivolge gentilemente al signor Giudice perché detti la sentenza in suo favore."
L'istanza viene naturalmente sottoscritta con una croce dal richiedente e accompagnata dalla dichiarazione di un testimone che, con notevoli fatiche riesce ad apporre la propria firma. Ci pensano gli eventi naturali a risolvere la controversia: un vilento temporale distrugge tutto il raccolto. I due contadini non hanno pertanto più motivo di litigare, la lettera viene dimenticata in un cassetto. L'anno venturo si vedrà.

Di CRISTOFORO ALLAVENA detto "CRISTUFIN"

INTRODUZIONE

Nei musei, le mostre temporanee sono un'attivtà essenziale, un mezzo per studiare e approfondire un tema specifico che viene a arricchire le nostre conoscenze del territorio, provocare una curiosità sul pubblico.
Già dal 1997 sentiamo a PIGNA il desiderio di fare una mostra d'estate sul tema dell'acqua. Poi nel frattempo avevano scelto dei soggetti forse più facili come: "La Pastorizia", "La Banda Musicale l'Alpina", "La Fede e il Quotidiano", La Lavanda, un profumo del passato".
Quest'ultima dello scorso anno, manca una tappa nella vita del Museo di PIGNA. Destinata a ricordarci un'attività montana e un'industria oggi sparite, la raccolta della lavanda e le sue distillazioni ci ha fornito l'occasione di concepire una nuova presentazione di una sala dedicata alle attività tradizionali della Montagna, oggi perse (includendo anche ovviamente la Pastorizia).

L'anno 2002 è stato decisivo per la ristrutturazione e l'organizzazione del Museo. Dall'inizio dell'anno il Museo si è dotato di un regolamento che ne stabilisce lo scopo e il modo di funzionamento, approvato dal Consiglio comunale e, in conformità a questo regolamento, sono stati nominati un direttore scientifico e un Consiglio del Museo di quattro membri.
Nell'inverno 2002/2003, da conversazione con H. de Lumley, Professore al Museum d'Histoire Naturelle de Paris, fondatore del Museo di Tenda, con A. Echassoux, archeologa dipartimentale delle Alpi Marittime e con i miei colleghi del Musée des Merveilles, che avevano il progetto di presentare una mostra sul tema dell'acqua, è nata l'idea di unire i nostri sforzi nello scopo di compiere un avvenimento transfrontaliero.
Il Museo di Tenda, la cui vocazione principale è di preparare il visitatore al circuito delle incisioni rupestri del santuario preistorico del Monte Bego, organizza ogni anno una mostra provvisoria lagata al sito (alla sua epoca, l'età del Rame, l'età del Bronzo, ai motivi delle incisioni, come il Toro, tema della mostra dell'anno 2002). E' stata dunque decisa un'operazione originale: fare contemporaneamente una mostra sul tema generico "L'uomo e l'acqua nelle Alpi Maridonali", una parte organizzata a PIGNA "L'Acuq Racconta" più orientata sull'uso dell'acqua, la sua importanza nella vita contadina tradizionale, l'aspetto dell'acqua termale e un'altra parte, presentata a Tenda "I Culti dell'acqua dai tempi preistorici", a partire dalle incisioni del Monte Bego, o di offerte in diversi santuari, evocatrici di un culto dell'acqua già nel Neolitico a fino all'età del Bronzo e un proseguimento attraverso il tempo con le chiese e santurari dedicati, soprattutto in Liguria, all'acqua Santa e i culti legati all'acqua nell'epoca recente.
Simbolo di femminilità, di fertilità, l'acqua affascina ed è stata divinizzata nelle nostre regioni d?europa, 4000 anni fa, segno di una coscienza collettiva dell'elemento vitale.
Si dice: "l'acqua è di tutti". Perchè è un elemento tanto Importante? Nella mostra di PIGNA si possono trovare le risposte e capire perchè l'acqua può essere anche oggetto di culto.
Ai piedi delle Alpi Meridionali, nell'alta Val Nervia, numerose sorgenti sgorgano: l'acqua racconta il paesaggio, la montagna, la vita degli abitanti. l'acqua selvaggia, con le alluvioni del fiume, crea disastri registrati nelle cronache storiche e le più recenti, del 1998 e del 2000, hanno lasciato tracce visibili. Paradossalmente qualche processione ai santuari è ogni tanto destinata a implorare la pioggia per salvare i raccolti! L'acqua sottomessa è la conquista più preziosa dei contadini: scorre nei canali d'irrigazione - "beai" - scavati nella terra o nella roccia, accuratamente controllati e puliti, secondi dopo secoli.
Poi è scoperta l'energia idraulica: in una parte era industriale l'acqua fa girare i meccanismi.
Nell'alta Vallata c'è una concentrazione eccezionale di frantoi e mulini in seguito si sono istallate segherie e centrale elttrica. In paese, le fontane, i lavatoi sono spazi di vita sociale. Fonte di purificazione, di salute, di giovinezza, di bellezza, l'acqua miracolosa da mito diventa realtà con le acque termali. La sorgente d'acqua sulfurea del Lago Pigo, primo luogo sacro, con una chiesa costruita sul posto, è sfruttata oggi da uno sabilimento termale per cure terapeutiche e di benessere.
L'acqua dolce è un patrimonio naturale, economico e culturale che lega alla terra, alla generazioni precendenti e all'umanità intera. La ricchezza in acqua in questa zona vicina al Mar Mediterraneo evidenzia un legame con l'ambiente Alpino. però ogni Vallata, ogni paesino offre delle singolarità interessanti.
Devo dire quanto io sia particolarmente felice di realizzare quest'operazione transfrotaliera che era all'inizio unpo' una sfiga. A Tenda, il Musée des Merveilles è un Museo dipartimentale che a 12 anni d'esperienza, una squadra numerosa e, di fronte a esso, il Museo comunale di PIGNA, più giovane, più piccolo, doveva impegnarsi molto.
Questa mostra è presentata nella bella Chiesa di San Bernardo, simbolo della nostra ricchezza in patrimonio del Quattrocento e simbolo anche dei legamicon le Alpi Marittime e la Val Roja: Giovanni Canavesio l'ha affrescata nel 1482, dieci anni prima della chiesa di Nostre Dame des Fontaines a La Briga. Così questa chiesa ritrova anche un ruolo attivo nella vita sociale di PIGNA. Accoglie viandanti di un nuovo tipo, i visitatori della Mostra. Si rafforza anche in questo modo la sua apparenza al circuito museale del paese.
Dal Balcone di Marta si gode un magnifco panorama ul Monte Bego, Tenda a PIGNA distano pochi chilometri. Dividamo una storia, un patrimonio, un dialetto e delle tradizoni comuni. Con i colleghi del Musée des Merveilles e tutti i membri del Comitato Scientifico della Mostra, abbiamo diviso lo stesso desiderio di portare avanti questo progetto, la collaborazione italo-francese ha funzionato perfettamente.
Il tema scelto in quest'anno mondiale dell'acqua costituisce in essenza un perfetto mezzo di comunicazione

giovedì 19 giugno 2008

BOTTEGHE ED ARTIGIANI


Mostra organizzata dal Museo Comunale di PIGNA
LA TERRA E LA MEMORIA
14 Agosto 2005 - Fino Alla Primavera 2006
Nella Chiesa di San Bernardo.

*** APERTA FINO ALLA PRIMAVERA 2006 ***

Nel Cinquecento la popolazione di PIGNA e di Buggio era approssimativamente di tremila abitanti, essenzialmente agricolotori, pastori, allevatori. Una parte minore, però significativa, era costituita da commercianti ed artigiani. La prova: negli statuti comunali risalenti a quest'epoca, su un totale di più di trecentoquaranta, una trentina di articoli riguardano la regolamentazione delle attività dei mugnai, macellai, osti, tavernieri e "gabellotti".

Alla fine dell'Ottocento, i Pignaschi sono più di tre mila. Nel borgo l'attività artigianale e commerciale contribuisce a mantenere le basi di una società dinamica che vive in autarchia. Questa situazione perduta fino all'inizio del Novecento.

Lo socopo di questa mostra è di evidenziare, seguendo la documentazione disponibile, l'importante numero di artigiani e di negozianti protagonisti della vita quotidiana, le cui botteghe, oggi quasi tutte abbandonate, sono ancora visibili in tutto il paese e particolarmente nel centro storico. E ci spingono a chiederci: che cosa c'era dietro queste porte ormai chiuse?

Questa indagine è basata essenzialmente, per quanto riguarda il Novecento, sui ricordi ancora vivi nella memoria collettiva, trasmessa dai più anziani Pignaschi. Le informazioni raccolte sono state arricchite da alcuni dati trovati nell'archivio comunale.

La presente mostra non ha la pretesa di presentare uno studio esauriente ma ha lo scopo di conservare la fragile memoria ancora esistente nel paese e di tracciare per questa parte importante nella società Pignasca una prima panoramica che potrebbe a poco a poco venire completata.

IL MUSEO DELLA CULTURA CONTADINA


Aperto nel 1995, il Museo di PIGNA è nato dall'iniziativa spontanea di un gruppo di Pignaschi attaccati alle loro tradizioni ed ha subito incontrato un'accoglienza entusiastica da parte degli abitanti e visitatori. L'interesse e la volontà dei Pignaschi di partecipare alla salvaguardia del loro patrimonio si sono espressi con numerosi doni e depositi a favore del Museo.
Queste collezioni contengono attrezzi della vita contadina nelle campagne del territorio di PIGNA, oppure attrezzi usati dagli artigiani del borgo. Tutti questi pezzi attualmente esposti, costituiscono il fondo della collezione del Museo. Sono Accompagnati da fotografie esposte secondo un criterio tematico permettono di rivedere gli artigiani, i loro gesti o i paesaggi delle campagne, le vedute di PIGNA di una volta.

La bottega del Falegname

Un "Sacùn". Allacciato alla vita a mo' di marsupio, serviva per riporvi le olive cadute per terra e raccolte a mano una per una. Altri tempi. Altri tempi davvero!

mercoledì 18 giugno 2008

GLI EX-VOTO

Sono opere di artigiani locali, o di pittori itineranti. L'originalità consiste nel fatto che la maggior parte di questi ex-voto è dedicata alle Grazie Ricevute nell'ambito delle attività leagle alla vita contadina. Gli incidenti con i carri, con i muli, la caduta dall'albero sono tra i temi più numerosi.
Tipica espressione di arte popolare, questi ex-voto, sono opere di artisti anonimi, spesso improvvisati. Offrono, inoltre, un notevole aspetto artistico spontaneo, oltre che un importante documentazione di vita popolare: rievocano infatti, alquanto fedelmente, le scene, i personaggi e gli ambienti del tempo passato.


domenica 15 giugno 2008

L'ARTE

A PIGNA abbiamo esempi di arte di notevole interesse, data la lunga storia che il nostro paese può vantare. Anzi, possiamo dire che tutto il paese è un'opera d'arte, tanto da poter essere definiti "PIGNA PAESE MUSEO".

Abbiamo chiese in stile romanico:

La più antica, la Chiesa di San Tommaso, di cui possono ancora oggi vedere i ruderi, risale al XII sec.;

La Cattedrale di San Michele, risalente nella struttura odierna al 1452, considerata monumento nazionale;

Gli Affreschi raffiguranti il ciclo della Passione ed il Guidizio Finale, dipinti da Giovanni Canavesio, risale al XV sec., così come il Polittico custodito nella Cattedrale;

La cosidetta "Arte Minore", che a PIGNA è rappresentata da numerosi ex-voto, raccolti sopprattutto nel Santuario della Madonna di Passoscio.




Attigua alla Chiesa vi è poi una Piazzetta di origine molto antica, che il cuore del paese: la "Piazza Vecchia", coperta da una loggetta a volta, ottenuta da pilastri bassi e grossi, su uno dei quali, quello centrale, è ancora visibile un anello di ferro che serviva nel Medio Evo per legarvi i prigionieri condannati alla punizione della gogna.

Su un lato di questa Piazza scorgiamo una grossa pietra con tre fori circolari di diverse dimensioni: era unsata come misura ufficiale nella vendita di olive e granaglie, nonché per il pagamento in natura delle tasse nel Medio Evo. La misura ufficiale lineare, invece, si trova poco distante: è posta sul lato sinistro della facciata della Chiesa.




giovedì 12 giugno 2008

I CARUGI

O gente che passai per sti carugi
C'u passu sveltu, sensa verse inturnu
Andai ci adaju, candu de returnu
E ve truvai ancor in se i vosci passi.

Gardai si bausi vegli cume u tempu
Fairi parlar de couse ch'i angia viste
I ve diran canta gente friste
In an vistu assetae in se si banchetti
E pei si porteghi che pan faiti aposta
Per reparar dar cantu e ascì da l'aiga
Candu de voute e nu ave de paraiga
E u celu u manda u rugliu a l'impruvisu
E pei andendu, assai in pocu i egli
Lascì se veglie barcurae
Unde prima u gh'era e gente aregirae
Adessu u gh'e ci numa i papalighi
Cussi, u sue, passandu d'in sei teiti
U l'è resciu a carrae fin p'ù camin
E u sta geghendu cun in figlior peccin
Mentre ci in là u gh'è in gatu ch'u se striglia.

E pei lagì, in ser scaler de a porta
U gh'è igna veglia che a l'umbra a l'è asetaa
A starla a ver a ghe par sempre staa
Perché a l'à a pele in culur dè miraglie.

Adessu fermaive, che e seve tostu ar fundu
Gardaive ben sti carugi de PIGNA
E mi che de starghe e ai a fortigna
I me paresce i ci beli der mundi.


ANTONIO
REBAUDO



PIGNA, LE TERRE DELLA LIGURIA

Percorrere i "Chibi" nell'abitato di PIGNA è uno spettacolo incantevole. I "Chibi" - che nel linguaggio del posto significano "Cupi Bui" - sono degli stretti vicoli a sviluppo orizzontale, si congiungono fra di loro tramite collegamenti radiali, coperti da volte ed archi, spesso si trovano affiancati da altre bastionate di case, del tipico impianto medioevale. Questi vicoli rappresentano la più nitida testimonianza del glorioso passato del paese: già possesso del Conti di Ventimiglia, poi dei Conti D'Angiò, successivamente avamposto di grande importanza sottto la dominazione sabauda, PIGNA si trova nella Valle del torrente Nerviaeconsta di una parte antica sul pendio ed una parte più recente sul fondovalle.
Salendo verso il nucleo medioevale, si trovano i ruderi della grandiosa chiesa romanica di San Tommaso, risalente al dodicesimo secolo. Il loggiato, nella parte superiore del borgo, costituisce un "balcone" naturale, dal quale si ammira un meraviglioso paesaggio: le bellezze architettoniche di PIGNA sono anche rappresentate dalla Parrocchiale di San Michele - situata in Piazza Vecchia - sulla cui facciata fa bella mostra di sé un Rosone in marmo bianco, opera di Giovanni Gaggini, all'interno della Chiesa, l'attenzione viene attirata dal prezioso Polittico "San Michele ed altri Santi", dipinto, alla metà del Quattrocento, dal piemontese Canavesio. Dello stesso autore, PIGNA conserva altri affreschi - la "Passione di Cristo" ed il Giudizio Universale - anche nella Chiesa di San Bernardino (posta accanto al cimitero). La visita di PIGNA, poi, continua nel Museo di Cultura medievale, nel quale sono conservati oggetti del lavoro dei contadini e dei pastori, ma soprattutto - in una sezione all'aperto - il Forno medievale. PIGNA è, dunque, un centro di cultura e, proprio nel segno di questa identità, ogni prima Domencia di Agosto, viene organizato un "Festival della Poesia e della Commedia Intemelia".
Cultura, quindi, ma non solo. La "capitale" della Val Nervia è conosciuta anche per il ricco patrimonio naturalistico, come le Terme, che - già note del Duecento - hanno conosciuto una giusta valorizzazione a partire dalla seconda metà dello scorso secolo, diventando una meta rilevante per i benefici effetti dlle acque sulfuree che sgorgono dalla fonte Maria Assunta.
Tutta la Val Nervia è, comunque, un luogo immenso nella natura: nella parte alta, è possibile praticare il canyoning, ma anche visitare grotte di grande fascino oppure godere del maraviglioso panorama che offrono le cosiddette Piccole Dolomiti, i Monti Toraggio e Pietravecchia.
Dalla gentilezza della terra alla buona cucina, il passo è breve: le specialità culinarie di PIGNA e della Valle Nervia sono molto cosnosciute.
Tra glia ltri piatti (soprattutto a base di "Fagioli" che in questa zona sono ottima qualità), va ricordato il "Gran Pistau", una specialità tipica che lega PIGNA al suo "dirimpettaio" Castelvittorio, arroccato proprio di fronte.
Scendendo da PIGNA, poi, è possibile derivare verso Apricale, un borgo medievale (conserva ancora una parte della cinta muraria e tre porte d'ingresso), disposto a semicerchio intorno al Castello, di notevole interesse artistico e culturale. Al suo interno, sono custoditi i più antichi statuti liguri, rasalenti addiritura ad inizio del Duecento.
Apricale è noto anche per gli spettacoli mesi in scena, durante i mesi estivi, dal Teatro della Tosse di Genova: le vie del borgo vengono popolate, come un suggestivo palcoscenico, da figuranti in costumi d'epoca.
A Settembre, poi, il paese festeggia il dolce tradizonale, con la Sagra della Pansarola, una specie di "Bugia" fritta nell'olio ed insaporita con lo zabaione.

mercoledì 11 giugno 2008

CENTRO 35bis


CENTRO 35


BATTERIA DEL BALCONE (605a BATTERIA S.P.)


COME RAGGIUNGERE IL BALCONE DI MARTA

LUOGO DI PARTENZA
Rifugio del CAI di Bordighera in località Colla Melosa (1541m.) - PIGNA (IM), raggiungibile su strada asfaltata da Ventimiglia, attraverso la Val Nervia e Colle Langan, o da Arma di Taggia, attraverso la Valle Argentina.
ITINERARIO IN AUTO
E' percorribile con cautela con un normale automezzo, purché non a fondo basso.
Inbocare la strada sterrata ex militare che parte da Colla Melosa e conduce, dopo parecchi tornanti, al Rifugio Monte Grai (CAI di Ventimiglia), prestando particolare attenzione in corrispondenza dei dossi per lo smaltimento dell'acqua piovana che si incontrano lungo il percorso.
Superato il rifugio proseguire sulla strada che diventa pressoché pianeggiante fino ad incontrare un bivio, in corrispondenza del quale si trova il confine.
Imboccare quindi la diramazione di sinistra (territorio francese) e proseguire sullo strerrato che a tratti diventa molto accidentato (buche e roccia che affiora dalla strada) fino ai ruderi dei Baraccamenti di Marta, dove occorre lasciare l'auto. Da qui il Balcone Di Marta è visibile in direzione Ovest/Sud-Ovest al di là di una conca.
Proseguire a piedi sulla strada che si dirama sulla sinistra, dietro ad un alpeggio, superando la sbarra che ne blocca l'accesso agli autoveicoli.
Dopo circa 30-45 minuti di cammino, inzialmente in falso piano e poi in salita, si raggiungono, superato un tornante a destra, i resti di una casermetta situata sulla sinistra della strada: proseguire a questo punto verso il tornante successivo, in corrispondenza del quale si deve imboccare una diramazione a sinistra, poco evidente, che porta in breve all'Ingresso Artiglieria dell'opera sotteranea (prestare attenzione ai resti di filo spinato che si possono trovare nei prati circostanti).
Se si vuole salire alla cupola dell'osservatorio, non accessibile all'interno dell'opera, occorre proseguire lungo la strada principale fino alla sonmità del Balcone di Marta (2122m.).
ITNERARIO A PIEDI
Richiede circa 3 -3,5 ore di marcia.
Da Colla Melosa imboccare la mulattiera che parte in corriaspondenza della prima curva della strada sterrata ex militare e che si ricongiunge a quest'ultima poco prima del Rifugio Monte Grai.
Proseguire poi come per l'itinerario in auto.
CONSIGLI PER LA VISITA
La vista interna dell'opera, nonostante sia stata spogliata di tutto il materiale trasportabile, risulta più tosto interessante. Vista la notevole estensione dei locali sotterranei (la vista completa richiede almeno un'ora), si consiglia di non avventurarsi all'interno da soli e di munirsi di efficenti mezzi di illuminazione, prevendendo lampada e batterie di riserva. A causa della presenza di corenti d'aria relativamente forti, si consiglia inoltre di coprirsi adeguatamente anche nella bella stagione.
Le condizione di conservazione dei locali sono generalmente buone, fatta eccezione per l'Ingresso Artiglieria e per la priam casamatta della Batteria del Balcone, dai quali sono state asportate le travi metalliche del soffitto, e per le camerate dei due centri di resistenza, nelle quali è stato parzialmente staccato il rivestimento anti umidità.
Prestare attenzione lungo le rapide rampe di scale che scendono ai Centri 35bis e 35 (complessivamente 326 scalini!), che la frequente presenza di umidità può rendere scivolose, come pure nel corridoio in forte pendenza che le segue. Nel pavimento di quest'ultimo si trovano inoltre alcuni piccoli tombini privi di copertura nei quali è possibile inciampare.
Il ritorno dell'esterno pasato all'Ingresso Attivo del Centro 35, assolutamente da evitare in caso di non perfetta visibilità, è fortemente sconsigliato sia per la mancanza del sentiero che per la difficoltà del percorso. E' decisamente preferibile ripercorre l'itnerario interno di andata attraverso il corridoio di collegamento e le lunghe rampe di scale.
Segnaliamo infine che in alcuni domeniche dei mesi estivi vengono organizzate delle escursioni ai forti del Balcone di Marta con partenza dal Rifugio Allavena. Tuttavia, ignorando i particolari riguardanti l'eventuale visita interna, consigliamo di rivolgersi agli Enti del Turismo dell località rivierasche (ad esmpio Bordighera) presso i quali sono reperibili le locandine con i programmi, o dirttamente al Rifugio.

lunedì 9 giugno 2008

IL COMPLESSO FORTIFICATO DEL BALCONE DI MARTA

Vista dal Balcone di Marta, sotto la cui sommità si aprono gli ingressi dell'omonimo complesso fortificato in caverna.

BREVE DESCRIZIONE

Il Balcone di Marta è un costone roccioso che si protende dalla Cima di Marta, situata sullo spartiacque tra le Valli Argentine e Roja, verso la parte mediana di quest'ultima.

Tra il Balcone di Marta e la sottostante altura., denominata Castello di Marta, è stato scavato tra il 1938 e il 1940 il più vasto complesso fortificato in caverna del Vallo Alpino occidentale, costituito da tre opere sotterranee collegate fra loro.

Detto complesso è formato da una batteria di artiglieria, denominata Batteria del Balcone o 605a Batteria, ubicata sotto la Cima del Balcone di Marta, e da due centri di resistenza di fanteria, denominati Centro 35bis e Centro 35, ubicati rispettivamente nel costone roccioso tra il Balcone e il Castello di Marta e sotto il Castello stesso.

Il complesso fortificato si sviluppa orizzontalmente su una lunghezza di circa 550m. e su un dislivello complessivo di ben 135m. (corrispondente a un palazzo di 45 piani!).

Dopo la modifica del confine tra Italia e Francia sancita del trattato di pace del 10 Febbraio 1947 queste opere, assieme a tutto quelle dei dintorni,sono passate in territorio francese.


LA NATURA

MONTE TORAGGIO E PIETRA VECCHIA

I gruppi montuosi del Toraggio e Pietravecchia sono i più elevati delle Prealpi liguri, definite le "Piccole Dolomiti" della Liguria per l'eleganza delle loro pareti rocciose e l'imponenza dei dislivelli.
La nosta montagna custodisce, sotto l'aspetto botanico e faunistico, una ricchezza che ha pochi eguali sulle Alpi. Grazie al particolare microclima vivono, sui Monti Toraggio e Pietravecchia, una infinità di specie botaniche, alcune delle quali sono rari endemismi: convivono, infatti, in questo habitat piante tipiche della zona artica e altre tipiche della mcchia mediterranea.
Sotto l'aspetto faunistico ricordiamo che su Pietravecchia e sul Toraggio vive una colonia di camosci, la più meridionale d'Europa.
Possiamo ancora vedere esemplari di aquiel reali, di biancone, marmotte, ecc..



LE GROTTE

La particolare natura del territorio ha favorito la formazione di grotte che si trovano numerose in PIGNA (oltre 150!). La grotta della Melosa con 235m. di dislivello è la più profonda cavità della Liguria, mentre la grotta dei "Rugli", con uno sviluppo quasi di 2Km, è per estensione la seconda della regione. Da ricordare il suggestivo lago artificiale di Tenarda, unico nella Provincia.


PIGNA

Per raggiungere PIGNA, bisogna ritornare sulla strada direttrice di Valle e risalire per l'alta Val Nervia.
Quì, tempo e vita si muovono al ritmo delle stagioni. Leggi naturali, ancora inviolate, governano un equilibrio incantato, quasi eterno, che solo natura può rompere.
Le regole, le norme sono imposte dal clima; venti, sole, piogge, neve, gelo, montagne dall'altissimo profilo sorvegliano, con proterva guardia, spazi, anfratti, pianosi, slarghi, badando che tutto resti sempre al proprio posto: non è consentita violazione alle regole della natura. L'incantesimo dei luoghi sa di biblico. Il mare è a due passi, pur tuttavia siamo già in montagna, alta: lo testimoniamo gli squarci improvvisi d'azzurro, il volo maestoso degli uccelli, l'impervietà degli scoscendimenti, lo stupore dei panorami, gli odori e i profumi vari della terra, portati dalle raffiche di vento. L'essenza stessa della valle chiede rispetto pur nella calorosa accoglienza della sua gente, portata a riconoscenza, quasi riverenza verso la natura non sempre per loro madre.

Capoluogo di Valle è sicuramente PIGNA, non fosse altro che per il suo storico passato e per la preziosità del patrimonio artistico-monumentale. Dal basso verso l'alto, il borgo antico si aggrappa al pendio come frutto del pino, con le sue case costruite le une sul tetto delle altre a mo' di unico, compatto fortilizio. Le strade principali si dispongono a cerchi concentrici (collegandosi fra loro attraverso angusti budelli, ripidi violotti, vicoli scuri, i "chibi", cioè vicoli cupi), per serrarsi attorno alla "Colla", il punto più alto del paese. Da qui, un balcone suggestivo, panoramico sulla Vallata che, d'un tratto, chiude bruscamente incontrando pendii coperti da boschi di castagni e roveri nella zona d'ombra, ulivi, nella zona di sole e, più in alto, pascoli e "Bandite".

A fondo Valle, in Località Lago Pigo, una sorgente d'acqua solforosa (con stazione termale ed albergo) per la crenoterapia, con ottimi risultati nella cura della pelle.

PIGNA medievale, ancor'oggi riconoscibile nel vasto repertorio di motivi, disegni e monogrammi incisi sulla pietra nera delle sue case gentilizie a conferma d'antichi privilegi e distinzioni di una società strutturata secondo schemi feudali. PIGNA degli affari, dei commerci e dei tributi, con la sua loggia (sorretto da robuste colonne di pietra nera), la Piazza Vecchia, le antiche misura di capacità, scolpite nella pietra e el misura di quel tempo infisse, da chiodo a chiodo, nella pietra.

PIGNA monumentale, con i suoi numerosi esempi di architettura religiosa, a cominciare dai silenziosi ruderi della chiesa di San Tommaso, all'entrata del borgo. E poi la chiesa madre di San Michel Arcangelo, dalla maestrosa facciata (del maestro Giorgio De Lancia), in pietra nera locale, lavorata con tecnica perfetta e perizia particolare, impreziosita dallo stupendo Rosone di Giovanni Gaggini da Bissone, in marmo bianco, a dodici collonnine convergi nell'Agnu Dei con vessillo e le sue vetrate policrome raffiguranti i dodici Apostoli; lo svettante campanile, baricentro del borgo, dalle cuspide in pietra squadrata, saldata a spigolo vivo, senza cornice; la chiesa/cappella romanica di San Bernardo, dagli interni affrescati; l'oratorio barocco di Sant'Antonio, con la sottostante fontana dei canui. Infine, al termine di un percorso a sentiero, segnato da 15 cappellette raffiguranti i misteri della Passione di Cristo, il santuario della Madonna di Passoscio o dell'Annunziata, oggetto di particolare devozione da parte dei Pignaschi.


PIGNA pittorica, con le opere più notevoli di Giovanni Canavesio (un artista fecondissimo, attivo tra il 1450 e il 1500): il ciclo degli affreschi della chiesa di San Bernardo e il grandioso Polittico della chiesa Parocchiale di San Michele Arcangelo.

PIGNA delle tradizioni, religiose e profane, con la benedizione delle mandrie, l'offerta degli agnelli alla messa di Natale, l'attesa, coperti solo da un lenzuolo bagnato con una canna verde in mano, dei Re Magi sul ponte di Lago Pigo, gli ex-voto, le confraternite, ora "compagnie", le "masche", ovvero le streghe, che rapivano le giovani fanciulle avventuratesi, nelle ore notturne, sulla strada, le "vegliade" serali per ascoltare, fuori dell'uscio di casa, al chiarore di un lume ad olio, le storie degli anziani e i progetti dei giovani, il "Ciaravigliu", un modo ed assordante per ottenere libagioni gratuite un vedovo passato a nuove nozze.

PIGNA culturale, custode del suo dialetto con una significativa fioritura letteraria di poesie e una brillante produzione teatrale di commedie, che trova annuale palcoscenico nel Festival della Poesia e della Commedia Intemelia. La memoria del luogo, i racconti delle sue pietre e degli ulivi si trovano nel Museo della Civiltà Contadina in Piazza XX Settembre, espressione del ricco universo pignasco, dalle zone più selvagge (la montagna con la pastorizia, le transumanze, la raccolta del miele e della lavanda), alla zona del bosco (con le grotte, le catsgne la caccia), fino al mondo contadino, verso il borgo medievale con le sue case, i monumenti, le opere d'arte e le attività artigianali.

Da PIGNA capoluogo a Buggio, sua frazione, la strada è breve: 5Km in discesa per raggiungere un borgo chiuso, annidato ai piedi del Monte Toraggio, in una conca naturale, cui fanno da cornice i pirmi massicci montuosi delle Alpi Marittime. Nei dintorni dell'abitato, la venerata chiesetta di San Syagrio, il vescovo di Nizza che, visitando Buggio per le cresime annuali, divenuto Santo, ne ebbe dedicato una chiesa. In paese, nei vicoli, su per le stradine, fin sulla rocca, si vive un'atmofera fuori dal tempo, che dispone a passeggiate salutari e ricreative di vigna in vigna, di uliveto in uliveto, su per le "Bandite", verso boschi e pascoli, fino al Monte Ceppo, al Pietravecchia, al Toraggio, a diretto contatto con un'infinità di specie botaniche di grande rarità e con la possibilità di avvistare, sull'antica strada del sale o slu sentiero degli Alpini, marmotte, esemplari di Biancone o di aquila reale, la cui presenza certifica l'ambiente come ancora incontaminato.


domenica 8 giugno 2008

GEOGRAFIA DI PIGNA

SUPERFICIE: 53,70

ABITANTI: 1.055 (Allora)

ALTITUDINE: da 156 a 2.038 s. l. m.

Sviluppato a gironi concentrici, PIGNA è un tra i più significativi borghi medioevali. Diverse sono le ipotesi sull'origine del nome, ricordiamo il nome latino Pinnia che significa cima di una penna e per estensione quindi, villaggio costruito sulla cima del pendio, ma l'etimologia popolare alla fine del XVI secolo vuole farlo risalire dal latino PINEA (PIGNA) per la sua distribuzione a cerchi concentrici delle vie che si chiudono dal basso verso l'alto attorno alla Colla (colla, punto più alto). Il Primo insediamento risale al X secolo nella zona dove altuamente si trovano oltre ai resti della chiesa San Tommaso, considerata la più ampia delle chiese romaniche della Vallata, i resti del palazzo di Giustizia dell'Argeleo e di fronte il uogo dove veniva inpoccati i condannati a morte. Dai Conti di Ventimiglia, PIGNA passò nel 1258 ai Conti di Angiò e nel 1388 sotto il dominio del Duca Amedeo VII di Savoia. Cadde per un lustro sotto la potenza genovese per tornare con la casata piemontese nel 1633 fino alla costituzione del Regno d'Italia.

Il centro storico è dominato dalla chiesa di San Michele costruita nel 1200 e rifatta nel XV secolo. La facciata in pietra nera, caratterizzata dalla statua di San Michele che uccide il demonio, è impreziosita dal rosone di marmo bianco costituito da dodici colonnine raffiguranti gli Apostoli che convergono al centtro dove c'è il vessillo dell'Agnus Dei. All'interno è conservato il Polittico del Canavesio dipinto nel 1500. A fianco della chiesa si innalza per 56 metri di altezza il campanile con cuspide in pietra squadrata.

sabato 7 giugno 2008

CARLO FEA

Carlo Domenico Ignazio Francesco Fea nacque qui a PIGNA il 4 Gugno 1753 da Giuseppe e Margherita Guarini.
Il nome Carlo gli vieni imposto il giorno 7, giorno del battesimo, ed è quello del suo padrino Carlo Doria, Marchese di Dolceacqua.
(Il padre Giuseppe, sembra fosse originario di Buggio. Infatti, nessun Fea appare residente nel capoluogo, mentre questo cognome esiste ancora oggi a Buggio).
La famiglia Fea ha una posizione molto brillante, infatti compera una grande campagna "Veglio". Giuseppe, Sposa Giovanissimo, Margherita Guarini, appartenente al ramo nobile della famiglia Guarini, il lustro del suo nome è la possibilità per i Fea di allargare il raggio delle relazioni. Ecco perchè troviamo come padrino del nostro Carlo, il marchese Doria.
Carlo appena giovanetto inzia i suoi studi, e a Nizza frequenta il liceo, entusiasmato della lettura dei libri, delle bellezze e della storia dell'Antica Roma e avendo avuto promesse di appoggio da due zii che vi risiedevano parte, ancora adolescenti per la città eterna.
A Roma si stabilisce presso uno zio, e li studia filisofia, teologia e giurisprudenza.
Egli veste ben presto l'abito Talare quale fa onore tutta la vita.
Carlo Fea esordisce poi nello studio dell'archeologia, dopo un accurata preparazione storia.
L'archeologia è il suo sogno, egli svolge molte attività in quel campo, diventa consigliere nella commissione di governo per le antichità e le belle arti. Diventa socio di molte accademie: Accademia Romana di Archeologia, di S. Luca, dell'Arcadia, dei Lincei.
In quel periodo a Roma inizia l'epoca in cui si comincia a sentina una certa necessità e grandiosità, il desiderio di un ordinato restauro e di studio dell'antichità. All'epoca di Fea si fonda il museo Chiaramonti, si fanno lavori di isolamento al Phanteon, di rinforzo al Colosseo, di scavo al Foro Traiano, la sistemazione del Pincio e di Piazza del Popolo. (Al Pincio troviamo un busto marmoreo del nostro personaggio).
Fea vive bene fino a 83 anni dopodichè si ammala e muore nel 1836.
I funerali vengono celebrati i modo solenne a spese dello Stato Pontificio. Viene sepolto nella chiesa di S. Lorenzo di Lucina.
A lui è dedicata una strada nel quartiere Nomentano.
PIGNA ne ricorda i natali con la Piazzetta Carlo Fea dove in quel lontano 1753 egli nasce.
Carlo Fea, pur essendo andato via da PIGNA molto giovane, è sempre stato partecipe, a quel tempo, alla'attività del paese, per mezzo della sua famiglia.
Da un'indagine svolta, sono arrivato a conoscere un pronipotedel grande archeologo.
Questa persona, che è ora proprietario di gran parte della campagna "Veglio" ha parlato così del suo avo.
(Premetto che la campagna "Veglio" si trovi ora nel Comune di Isolabona).
Carlo Fea nella campagna che un giorno fu dei suoi genitori ha fatto costruire una chiesa, (da poco restaurata appunto dal S. Rebaudo), dedicata alla Madonna della Neve, una chiesa di struttura esagonale su modello di S. Maria Maggiore a Roma, con un quadro antichissimo e di gran valore appunto dedicato alla Madonna. Da questa costruzione possiamo capire che Carlo Fea era rimasto in contatto con il suo paese natale, ed avevo voluto una chiesa sullo stesso modelli di una di Roma dove egli lavorava e viveva.
Sulla campana c'è una scritta che corrisponde alla data di morte (1836) del nostro personaggio.
Molto probabilmente questa chiesa sarà stata inaugurata in quell'anno e stata poi oggetto di culto per molto tempo. Poi dimenticata e oggi nuovamente restaurata.

PROFESSORE LUDOVICO ISNARDI

Professore Ludovico Isnardi, uomo illustre, medico, grande benefattore del paese.
Nasce a PIGNA il 22 Settembre 1859, quinto figlio di Filippo e Andrietta Rebaudo.

Nasce in una casa dell'attuale "Via Roma" Allora "Via Maestra". E' un ragazzo vivace e intelligente, dopo aver frequentato le scuole elementari, frequenta il ginnasio e poi l'università laureandosi in medicina, si specializza nella cura delle ossa e si laurea a pieni voto con la tesi "Cura Moderna delle Fratture Complicate".
Lavora molti anni a Torino, dove vive, ma torna molto presto a PIGNA.
PIGNA è il suo paese, non dimentica le sue radici e pensa solo a far del bene. Cura i Pignaschi che hanno bisogno di lui come medico, salvando loro la vita. Se non è possibile curarle a PIGNA li fa trasferire a Torino dove vengono assistiti in maniera completa.
Nel 1909 a quarantotto anni, nel pieno della sua carriera, che gli ha permesso d'accumulare una consistente quantità di denaro, pensa di ritornare a PIGNA.
Nel marzo sposa una vedova con due figli, Edvige Stefanini Ved. Borgogno.
Negli anni in cui Ludovico Isnardi costruisce la sua carriera a Torino, a PIGNA si pensa di costruire un corso che da ponte di Carne colleghi la Provinciale a Piazzetta S. Croce, in modo da rendere abitabile la parte più soleggiata del paese. Questo corso, dopo molte vicissitudini, arriva alla conclusione e il 30 Settembre 1910 si inaugura Corso Ludovico Isnardi.
Il professore è a PIGNA nella sua villa si riempie di amici e ammiratori. Quel giorno per il pase è gran festa, ed è proprio nel suo discorso che il professore cita un altro personaggio illustre di PIGNA l'architetto Carlo Fea.
Dal 1912 al 1914 egli collabora con il Dott. Trucchi a Ventimiglia presso "la clinica Isnardiper chirurgia e malattie delle donne" situata in Via Cavour 27.
Nel 1914 il professore chiede al Comune di PIGNA l'autorizzazione per collocare i tubi del suo acquedotto della Roccaglia lungo il corso fino a Piazzetta S.Croce, dove costruire l'attuale fontana (F. Dei Canui).
L'altra fontana viene costruita a sue spese all'ingresso del paese (Ai Ponti) e viene chiamata "Dragurigna" perchè è costruita su modello di una sorgente abbondante, ma non perenne, che sgorga a cinquantina di mertri sotto il Monte Toraggio.
Nel 1915 il professore va ad operare i soldati a Grenoble e nella Savoia. Nel Maggio del 1915 in piena Guerra Mondiale, il professore sta organizzando una clinica a Nervia ma parte volontario.
Negli anni 1917-18 il professore apre la la clinica a Nervia, vicino al teatro Romano.
Nel 1919 scrive un libero "Braccio Artificiale".
Nel 1924 Fa costruire un Asilo infantile lungo il corso che porta il suo nome e lo intitola a sua moglie Edvige. Si forma così il "Commitato Pro Erigendo asilo infantile" con lo scopo di dotare PIGNA di un edificio scoalstico che viene inaugurato il 4 Ottobre 1925.
Nel 1926 Ludovico si ammala (frose di tumore al fegato) e il 7 Febbraio 1927 Muore a Ventimiglia e sepolto a PIGNA nella chiesetta "Madonna Delle Grazie" come era suo desisderio.


FONTANA DEI PONTI "LA DRAGURIGNA"

CHIESETTA DOVE E' SEPOLTO IL PROFESSORE "MADONNA DELLE GRAZIE"